Irregolarità, abusi edilizi e Sanatorie
Quali sono le differenze tra Irregolarità e Abuso Edilizio? Quali tipi di opere è possibile sanare? Quali sono le procedure ordinarie e quali le sanzioni? Qual è la differenza tra condono e sanatoria edilizia? Ed infine che cos’è la fiscalizzazione dell’abuso?
Un rapido excursus
L’argomento di oggi affronta la questione delle irregolarità edilizie, piaga che affligge la quasi totalità del nostro patrimonio e che spesso nasconde l’insidia dell’impossibilità di eseguire ulteriori interventi o peggio poter trasferire liberamente l’immobile.
Va detto, per spezzare una lascia verso l’ignaro utente che non conosce le reali motivazioni di una apparente normativa “costrittiva”, che il problema principale stà nella incapacità del legislatore, fino a questo momento, di saper riconciliare le “consuetudini” passando per le varie epoche di costruzione, ovvero fornire un quadro sinottico in grado di definire con certezza i vari confini applicativi.
Si è passati infatti da una completa assenza di regolamentazione a dei vincoli preordinati non solo al contenimento del consumo indiscriminato del suolo ma anche rispetto a modifiche sul patrimonio già esistente.
Si sono accumulate, cioè, una serie di norme che hanno via via sempre più ristretto il campo delle possibilità, stante appunto la mancanza di una certa coerenza o quantomeno continuità nei precedenti legislativi. Non a caso è spesso la giurisprudenza ad indicare la “buona prassi”, ovvero a dare una “interpretazione autentica” rispetto alla lettura ed applicazione, quanto mai agevoli, delle norme che regolano l’attività edilizia, fatte di rimandi a concetti obsoleti o per i quali non è difficile sfumare in varie posizioni. L’oggettività e l’onnicomprensività delle norme, lo sappiamo, non è mai stato il nostro punto forte.
Tuttavia analizzando in dettaglio le tracce di un sistema che ha portato all’attuale stesura dei testi vigenti (fra tutti il DPR 380/2001) non devono sfuggire i motivi, e contemporaneamente all’evoluzione della società anche gli specifici obiettivi, che hanno terminato la necessità di introdurre, nel tempo, sostanziali modifiche, per quanto spesso reiterando solo confusione: le prime “norme” infatti sorsero per far fronte ad esigenze di carattere “igienico-sanitario” (ricordiamo il piano per il risanamento di Napoli), fino all’avvento della “Legge fondamentale dell’urbanistica” nel 1942 in ambito di pianificazione dell’espansione e per la formazione dei primi “regolamenti”, raccogliendo i contributi delle precedenti esperienze e divenendo in seguito un riferimento di “metodo” per il futuro avvenire e che pose le basi per l’evoluzione del concetto di “città” quale prodotto di un processo economico di larga scala.
Successivamente l’emergenza della ricostruzione post bellica accanto ai dibattiti sulla riforma dell’urbanistica a partire dagli anni ’60, portarono, assieme alla evoluzione concettuale e tecnica dell’industria delle costruzioni (trainante al contempo del paradosso della speculazione), ad una maggiore coscienza delle problematiche legate all’assenza di specifici strumenti di regolazione dell’attività edilizia: furono eventi drammatici come quello della terribile frana dell’Emilia Romagna a riproporre l’attenzione (sino ad allora abbandonata ad una sterile argomentazione, inerte dinnanzi agli scandali passati impunemente alla ribalta della cronaca). Ulteriori incresciosi avvenimenti a causa del sovraccarico edilizio (alluvioni di Firenze e del Veneto), contribuirono all’approvazione della cosiddetta “Legge Ponte”[1] attraverso la quale fu introdotto, se vogliamo, il primo provvedimento volto ad una armonizzazione delle regole e soprattutto dell’estensione dello strumento della Licenza Edilizia a tutto il territorio comunale.
Furono tuttavia gli anni successivi a porre le basi di una rivoluzione, prima con la Legge Bucalossi del 1977 che sostituendo la Licenza con la Concessione, pose le basi della sua onerosità e poco dopo, nel 1985 la prima Legge sul Condono Edilizio[2], stabilì un apparente punto di non ritorno.
La legge sul “Condono Edilizio”
Il concetto di regolarità urbanistica degli immobili si fonda sull’assunto che, ciò che deve essere costruito debba rispettare determinati parametri (indicati generalmente nel Regolamento Edilizio ovvero nelle Norme Tecniche di Attuazione che accompagnano gli strumenti di pianificazione del territorio e dell’attività edilizia), ovvero necessita di un’apposita autorizzazione. Il principio non è variato, ciò che è cambiato nel tempo sono le modalità applicative e le restrizioni dovute a casi particolari (es. tutela paesaggistica, vincoli di salvaguardia ecc.).
Con la (prima) legge sul Condono Edilizio, fu data la possibilità di “regolarizzare” costruzioni realizzate abusivamente o modificate senza permesso, pagando una “sanzione pecuniaria” anzidetta oblazione, per il rilascio di una “concessione in sanatoria” ovvero postuma, comunque al ricorrere di determinati requisiti di accesso tra cui l’anno di ultimazione delle opere: concetto ripreso negli anni dalla giurisprudenza e che solo negli ultimi tempi si è compreso che non fosse solo un onere di dichiarazione ma di prova. Sappiamo che in successione si è ripreso l’incipit della norma, introducendo quelli che più comunemente conosciamo come secondo e terzo condono edilizio le cui prerogative si sono fatte via via sempre più restrittive: l’introduzione peraltro del Decreto Legislativo 42/2004, detto “codice dei Beni culturali e del Paesaggio eredità della “Legge Galasso” del 1985 e del successivo Testo Unico 490/1999, impose un limite invalicabile costituito dall’impossibilità di ottenere un parere di compatibilità per abusi che prevedevano nuove costruzioni o ampliamenti, in aree raggiunte dalla pianificazione di tutela.
Oggi dobbiamo distinguere le due fattispecie e dunque venendo a rispondere al primo quesito, cioè quale sia la differenza tra irregolarità e abuso edilizio, possiamo affermare che questa sia insita nella natura dell’intervento, dovendo escludere opere realizzate fuori dai limiti temporali: il periodo infatti per l’applicazione del condono, salvo per le richieste già formulate e per i quali l’istruttoria è “pendente” (concessioni inesitate), si è concluso con la legge 326/2003 la quale stabiliva il termine utile per le domande fino al dicembre 2004; rimane allora applicabile, a determinate condizioni che a breve vedremo, la “sanatoria ordinaria” stabilita dal DPR 380/2001.
Se da una parte il condono permetteva (salvo eccezioni di “dimensioni massime” e le zone vincolate) di sanare qualunque tipo di abuso, la norma permanente consente di regolarizzare solo interventi in possesso di un presupposto specifico ovvero che, per tipologia ed estensione questi potessero essere assentiti all’epoca della loro realizzazione (rispetto cioè alle norme all’epoca in vigore) e contemporaneamente le stesse si potrebbero astrattamente autorizzare allo stato attuale (rispetto cioè alle norme vigenti). Questo concetto è detto in urbanistica di “doppia conformità”, poiché si rifà appunto ad una doppia condizione per potersi applicare la “sanatoria” la quale determina la piena legittimità dell’intervento. La Legge sul cosiddetto “Salva-Casa” ha introdotto un regime semplificato che permette di ottenere la sanatoria, in specifiche condizioni, se è rispettato il criterio della “conformità disgiunta”, vale a dire che l’intervento eseguito risulti autorizzabile nel momento di presentazione dell’istanza alle norme urbanistiche e fosse conforme alle norme edilizie e di settore all’epoca del fatto[3].
La sanatoria ordinaria
Mediante la presentazione di una pratica in sanatoria, ad opera di un tecnico abilitato in possesso dei requisiti, sarebbe possibile in talune ricorrenti circostanze, regolarizzare le difformità anche risalenti all’epoca di costruzione del fabbricato), pagando una oblazione forfettaria calcolata analiticamente ricorrendo al combinato disposto tra la legge Regionale in materia e le disposizioni locali[4]: all’esito positivo della formazione del relativo titolo, si acquisisce la piena conformità del manufatto potendo effettuare successivamente qualsiasi intervento edilizio permesso dalla normativa vigente.
Al contrario, la concessione in sanatoria rilasciata a seguito di una domanda di condono, ed al ricorrere dell’avvenuto pagamento della relativa sanzione, produce gli effetti dell’estensione del reato penale ma costituendo di fatto un “regalo”, impedisce qualsiasi azione successiva sul manufatto che non sia relativo al semplice mantenimento del bene: la regola generale infatti prevede che immobili condonati non possano essere oggetto di demolizione e ricostruzione ancorché adeguandoli alle norme di settore vigenti, poiché si perderebbe il diritto acquisito. Anche volendo si creerebbe il paradosso di dover mantenere tutti i caratteri dell’opera originaria, vanificando di fatto ogni sforzo di miglioramento delle preesistenti condizioni[5].
Dunque dovendo ad oggi confrontarci solo con la “sanatoria ordinaria”, cerchiamo di chiarire quali siano gli interventi regolarizzabili.
Senza presunzione di esaustività in quanto i casi sono molteplici e comunque vanno sempre analizzati nello specifico, tenuto sempre conto del concetto della “doppia conformità”, possiamo riconoscere nelle difformità lievi la diversa distribuzione degli spazi e funzioni interne, quelle di secondo ordine rappresentate da un diverso impaginato delle facciate (posizione, dimensioni, numero e caratteri tipologici delle aperture) ivi compresa la diversa sagoma, mantenendo inalterati tuttavia i parametri quali la superficie coperta, il volume e naturalmente i distacchi; per le difformità più gravi riconosciamo quelle attribuibili ad una variazione di superficie e/o di volume la cui sanabilità dipende dall’esistenza di indici residui. Vale la pena allora fare degli esempi.
E’ sempre possibile regolarizzare violazioni interne all’unità immobiliare (demolizione/costruzione di divisori, cambio di funzione agli ambienti, installazione nuovi servizi igienici ecc.), talvolta anche di carattere strutturale, laddove il risultato sia sempre conforme ai regolamenti ed alle restrizioni normative: utile richiamare il riferimento al DM 5 Luglio 1975 che raccoglie i requisiti igienico sanitari da rispettare per tutte le costruzioni o le modifiche di edifici esistenti avvenuti dopo l’entrata in vigore. In questi casi potrebbe essere sufficiente una CILA “tardiva”, se l’intervento non contempla interessamento delle strutture. A livello di oblazioni, in base alle zone territoriali omogenee in cui si ricade, la stessa è forfettariamente compresa tra 1.000 e 2.000€, mentre l’efficacia si “ottiene” con la stessa presentazione della pratica[6], poiché sono atti che sottostanno alla responsabilità del tecnico asseveratore che predispone gli elaborati grafici e le relazioni tecniche di rito.
Per regolarizzare difformità dei prospetti occorre generalmente una SCIA in sanatoria (art. 36-bis), valutando il “costo virtuale” della trasformazione per poter determinare l’ammontare della sanzione pecuniaria che in questo caso si appoggia ad un computo metrico analitico ed è calcolata come doppio del contributo sul costo di costruzione, quest’ultimo ha una incidenza dell’ordine del 5-10%. A parte le possibili richieste integrative tra cui l’eventuale conferma dell’ente preposto al controllo sull’ammontare delle oblazioni, anche in questo caso si rimanda al soggetto sostituto di pubblica necessità, per la formazione dell’efficacia del titolo trascorsi 30 giorni dal suo deposito. Generalmente è richiesto, oltre all’elaborato grafico di progetto rappresentate la situazione assentita precedente l’abuso, quella conseguente gli interventi realizzati nonché schemi di confronto e dimostrazione del rispetto dei requisiti (tra cui gli avvenuti accertamenti di legittimità della preesistenza sulla quale rimando all’ascolto del primo contributo), una relazione tecnica asseverata ed una perizia giurata sul calcolo del contributo dovuto.
Situazioni più complesse, come gli ampliamenti ed i cambi di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, dovendo ricorrere al Permesso di Costruire in sanatoria (art. 36 DPR 380/2001) e dovendo pertanto soddisfare requisiti di disponibilità di taluni indici urbanistici (banalmente l’esistenza di cubatura residua) sono rimandati al rilascio di un provvedimento espresso in assenza del quale è formato il diniego. E’ un caso tipico come quello della trasformazione del balcone in veranda, il quale spesso non risulta sanabile. Tuttavia ove possibile, in questo caso la sanzione è pari al triplo del contributo dovuto in caso di nuova edificazione, ovvero comprendente anche gli oneri di urbanizzazione.
Le tolleranze
Esiste in ogni caso un’alea di tolleranza, richiamata all’articolo 34-bis del TUE che identifica le condizioni per cui seppur presenti, differenze con il titolo autorizzato (anche in termini di cubatura ed altezze) non sono nemmeno considerabili quali irregolarità: parliamo del 2% di discordanza rispetto a tutti i parametri edilizi (altezze, superficie, volume) che riguardano la singola unità immobiliare, compresi i requisiti igienico sanitari (dimensioni minime ambienti, rapporti aeroilluminanti). Tale circostanza deve essere in ogni caso attestata e dimostrata[7]. Pur in assenza di un valore “numerico” non sono comunque considerate violazioni quelle riguardanti le finiture e gli impianti, nonchè la minore dimensione del fabbricato e gli errori materiali.
La legge sul “Salva-Casa” ha esteso fino al 6% il predetto margine, definendo degli scaglioni in base alla superficie utile assentita dell’unità immobiliare[8], con esplicito riferimento ai soli interventi conclusi entro il 24 Maggio 2024:[9]:
a) 2% per le unità immobiliari con superficie utile superiore ai 500 metri quadrati;
b) 3% per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 300 e i 500 metri quadrati;
c) 4% per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 100 e i 300 metri quadrati;
d) 5% per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 100 metri quadrati;
e) 6% per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 60 metri quadrati.
La fiscalizzazione dell’abuso
Infine riguardo il concetto di fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 34 DPR 380/2001, va precisato che questi si sostituisce agli effetti della demolizione/remissione in pristino quando questa dovesse, altrimenti, pregiudicare le porzioni realizzate legittimamente: il principio infatti, permette solamente di mantenere in essere il bene che tuttavia non riceverebbe alcuna sanatoria né verrebbe legittimato, seppur a fronte del pagamento di una sanzione consistente calcolata pensate, sul valore venale dell’abuso (la fiscalizzazione non produce effetti condonatori).
La sanatoria strutturale
Abbiamo affrontato il tema dal punto di vista urbanistico, facciamo attenzione tuttavia alla componente strutturale poiché in periodi in cui il territorio è divenuto “a rischio sismico” (2003) è spesso di difficile se non impossibile risoluzione, nonostante le semplificazioni recenti introdotte con la Legge 105/2024. Venendo ad un requisito che ricorre anche nelle altre casistiche, la questione della “conformità strutturale”, che assume rilievo quale atto costitutivo ed imprescindibile per l’efficacia dello stesso titolo urbanistico (tradotto in assenza il titolo è illegittimo ovvero all’infuori dei casi in cui non è previsto il silenzio-diniego, si intende non consolidato), occorre indicare come si formalizzi il paradosso di dover verificare, ad esempio, la rispondenza di un intervento eseguito oltre 30 anni fa, alle specifiche imposte dalle norme sulle costruzioni attuali (art. 36). Qualora l’intervento ricada in quelli “minori” (art. 36-bis) la legge consente di regolarizzare la difformità strutturale ottenendo una autorizzazione postuma: si hanno pertanto almeno due scenari, uno ove la presentazione del progetto consente, in quanto la struttura risponde dei requisiti, alle norme vigenti all’epoca, l’altra ove il risultato negativo della verifica conduca a dover adeguare il manufatto. Tenuto conto che le disposizioni si applicano agli immobili esistenti e che alla data di presentazione ricadano in zone sismiche ad alta e media classificazione (1 e 2), esiste una eccezione o per meglio dire un aspetto residuale della norma che non indica modalità per le zone a bassa sismicità (3 e 4): si deve tuttavia tener conto delle disposizioni Regionali in materia di prevenzione del rischio sismico e, nel caso del Lazio è quantomeno sempre raccomandabile il ricorso ad una valutazione della sicurezza sismica .
La sanatoria “condizionata”
Prima del “Salva-casa” la giurisprudenza era granitica nel considerare improcedibile un provvedimento che prevedesse la realizzazione di opere atte a definire lo stato legittimo di un immobile affetto da irregolarità (mancanza del presupposto di legittimità e di esplicita previsione normativa della fattispecie) contemporaneamente alla presentazione di una istanza di sanatoria: con grande accoglimento degli addetti ai lavori l’art. 36-bis comma 2, oggi, permette di ottenere la sanatoria condizionata all’esecuzione di opere di ripristino (ove evidentemente non sanabili) o di modifica “necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza”, su iniziativa/proposta dello stesso interessato [10]
note
⇡1 | Legge 6 Agosto 1967 n. 765, recante le “Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150”; |
---|---|
⇡2 | Legge n. 47 del 28 febbraio 1985, art. 13; Legge n. 724 del 23 dicembre 1994, art. 39; Legge n. 326 del 24 novembre 2003; |
⇡3 | Legge 105/2024. Ad oggi si hanno, fatti salvi casi particolari, due soli regimi autorizzativi in sanatoria: a) il preesistente art. 36 che tratta l’accertamento della doppia conformità nei casi di Assenza o totale difformità dal permesso; b) il nuovo art. 36-bis che contempla la regolarizzazione di parziali difformità e variazioni essenziali al Permesso, ovvero assenza e difformità dalla SCIA, in regime di accertamento semplificato o “disgiunto” (ndr); |
⇡4 | per il Lazio Legge Regionale n. 15/2008 così come modificata dalla Legge Regionale n. 1/2021; per Roma rimandiamo alla DAC 44/2011; |
⇡5 | v. sentenza di Corte Costituzionale n. 119/2024 e Sentenza del Consiglio di Stato n. 482/2025; |
⇡6 | La giurisprudenza di merito si è epressa più volte sul concetto di “efficacia” del titolo che ricorre solo rispetto all’esistenza di tutti i presupposti, ivi compresa la completezza documentale e soprattutto la veridicità delle dichiarazioni |
⇡7 | art. 34-bis comma 3 DPR 380/2001: “Le tolleranze esecutive di cui al presente articolo realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero, con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.” |
⇡8 | art. 34-bis comma 1-ter DPR 380/2001: “Ai fini del computo della superficie utile di cui al comma 1-bis, si tiene conto della sola superficie assentita con il titolo edilizio che ha abilitato la realizzazione dell’intervento, al netto di eventuali frazionamenti dell’immobile o dell’unità immobiliare eseguiti nel corso del tempo”; |
⇡9 | art.34-bis comma 1-bis DPR 380/2001; |
⇡10 | attenzione al “pericolo” che risiede proprio nel potere discrezionale della ‘amministrazione, di concedere l’autorizzazione solo a determinati, onerosi e complessi interventi di adeguamento ancorché sismico. |