Legge “Salva-Casa”, tra nuove opportunità e criticità
La Legge sul “Salva-Casa” può considerarsi un condono? Come cambia il regime delle sanatorie ordinarie dopo il nuovo decreto? Quali sono le opportunità e quali le criticità applicative?
L’articolo di oggi propone una analisi squisitamente tecnica del nuovo Decreto “Salva Casa” da poco convertito in legge[1] e che a parere dei media avrebbe dovuto apportare un vento di novità significative (eclatanti, ndr) ai fini della regolarizzazione degli immobili.
Accanto al dichiarato intento di “snellire” l’apparato burocratico in seno alle sanatorie a regime e l’obiettivo primario di sbrogliare numerose situazioni in stallo che riguardavano in particolare le compravendite immobiliari, non può negarsi che il nuovo decreto, specie nelle affermazioni in conferenza dei ministri antecedenti le prime bozze, fosse prima di tutto il fulcro di propaganda politica: da subito lo stesso ministro inneggiava ad una portata risolutiva, fornendo tuttavia un quadro generale che nel tempo si è reso sempre più distante rispetto alla stesura finale.
Anche le stesse notizie su un possibile “condono” (smentite tuttavia dallo stesso ministro) hanno immediatamente innescato una innegabile confusione (che purtroppo continua ancora oggi) tra i committenti finali, i quali non essendo addetti ai lavori e tuttavia identificandosi seppur erroneamente nelle informazioni (peraltro fuorvianti ed in ogni caso del tutto parziali) che venivano loro veicolate, ancorché incapaci di cogliere la reale portata della norma, hanno percepito impropriamente delle opportunità senza precedenti, rivelatesi disattese se non del tutto inesistenti sin dall’origine.
Il “Salva-Casa” non è un Condono
Il “Salva-Casa” non è un condono ed in realtà non lo è voluto mai essere, salvo degli “automatismi” contenuti nella forma di alcuni passaggi che, solo in talune specifiche circostanze, possono determinare una sorta di “sanatoria implicita”: lo scopo era quello di superare dei vincoli interpretativi e procedurali che di fatto impedivano, anche e soprattutto nelle situazioni meno gravi, di sanare opere realizzate in difformità rispetto alle autorizzazioni legittimamente acquisite. Il presupposto infatti è una modifica puntuale del testo unico, prevedendo nuove modalità di regolarizzazione, ovvero integrando i procedimenti già a regime con interventi di semplificazione.
Infatti prima del decreto, il quale riformula ed innova dei passaggi fondamentali contenuti nel DPR 380/2001, la sanatoria di qualsiasi intervento era condizionata al rispetto del principio – peraltro giurisprudenzialmente consolidato anche rispetto alle norme di settore – della “doppia conformità”, vale a dire che quanto realizzato in difformità o assenza dai titoli poteva essere regolarizzato, versando una oblazione, mediante la presentazione di una domanda di sanatoria ai sensi degli ex art. 36 e 37, nella condizione che fosse rispettata la disciplina edilizia e urbanistica vigente sia al momento dell’istanza, sia al momento dell’abuso. Tale principio in vigore da oltre un ventennio, ha congelato svariate situazioni dove paradossalmente l’unico difetto era inerente alla normativa di settore (es. antisismica) che per ovvi motivi, soprattutto per interventi risalenti nel tempo ancorché originari della costruzione stessa, non sarebbero mai stati verificabili.
Superamento della “doppia conformità” assoluta
A partire dalle prime bozze, si è tracciata la strada alla possibilità di differenziare due regimi, rispetto agli interventi più gravi – ovvero quelli realizzati in assenza o totale difformità dal permesso o dalla Scia alternativa all’autorizzazione – e che tutt’ora permangono nel citato art. 36 soggetto alla “doppia conformità”, e quelli minori ovvero in parziale difformità o con variazioni essenziali, confluiti insieme alle opere già sanabili con ricorso all’ex comma 4 art. 37, nel nuovo art. 36-bis soggetto ad una “conformità semplificata” (o disgiunta): questa nuova fattispecie prevede che l’intervento risulti conforme alla normativa urbanistica al momento della domanda, ed alla sola disciplina edilizia all’epoca dell’abuso (evento peraltro da dimostrare e non solo dichiarare, facendo ricorso ai documenti probatori di cui all’art. 9-bis).
Occorre pertanto dare una definizione uniforme che è già in parte contenuta nel testo unico: per normativa urbanistica si intendono i parametri incidenti sulla pianificazione del territorio, vale a dire tra gli altri gli indici di fabbricabilità (superfici, cubature ecc.), l’incidenza di copertura, le distanze, le altezze massime; per disciplina edilizia, invece, si intendo tutte le norme di settore ovvero: normativa antisismica, requisiti igienico-sanitari, acustica, risparmio energetico, sicurezza impianti, vincoli di salvaguardia e di tutela.
Tuttavia il decreto ha innalzato le sanzioni a fronte delle quali ottenere il permesso in sanatoria (ovvero consolidare gli effetti della segnalazione certificata), integrando il dispositivo del silenzio-assenso, prima di allora escluso dai casi di sanatoria, che viene rimodulato con termini fissati a 45 giorni.
Per gli interventi eseguiti in parziale difformità o con variazioni essenziali, la sanzione è pari al pari al doppio del contributo di costruzione aumentato del 20% salvo quando sia dimostrabile il presupposto di cui all’ex art. 36; in caso di interventi soggetti a Scia invece, l’importo è determinato dal responsabile del procedimento in misura compresa tra 1.032 e 10.328€, rispetto al doppio dell’incremento del valore venale, quest’ultimo valutato dall’Agenzia delle Entrate. L’importo è ridotto della metà nel caso di sussistenza dei requisiti per applicare il principio della “doppia conformità”.
La novità della “sanatoria strutturale”
Per gli interventi rientranti nel perimetro della classificazione sismica “Alta” (1) e “Media” (2) è stata finalmente specificata la procedura per l’ottenimento dell’autorizzazione “in sanatoria”, facendo richiamo ai contenuti del comma 3-bis art. 34-bis, introdotto sempre con il decreto, che fissa le modalità con le quali, anche in sede di accertamento delle tolleranze costruttive, il tecnico abilitato effettua una “verifica di sicurezza” alle normative dell’epoca, ovvero predispone un progetto di adeguamento nei casi di “sanatoria condizionata”: tale assunto contiene tuttavia una prima criticità, stante nell’esclusione delle aree a bassa sismicità (3 e 4) che, per via residuale, ovvero in assenza di esplicita indicazione, continuerebbero a integrare il precedente regime più restrittivo.
La novità della “sanatoria condizionata”
Altra novazione importante è proprio quella che da sempre, la giurisprudenza, aveva negato, ovvero l’opportunità di affiancare opere di rimessa in pristino, ad interventi di conformazione di opere astrattamente non sanabili per addivenire ad uno stato legittimo: tale possibilità contempla tuttavia il principio per cui sia la stessa amministrazione a richiedere gli adeguamenti necessari (peraltro stando ad una lettura pedissequa, solo in campo di sicurezza strutturale, impedendo di fatto adattamenti relativi alle altre norme specifiche), salvo per il privato predisporre in ogni caso una proposta in fase di deposito della domanda.
Casi particolari di “sanatoria implicita”
Un interessante passaggio riguarda la sanatoria di interventi realizzati prima dell’introduzione della Legge Bucalossi 28 gennaio 1977 n. 10: in un periodo in cui non esisteva il deposito della “variante in corso d’opera”, sono moltissimi ad oggi gli immobili affetti da una mancanza di corrispondenza con quanto realizzato, a causa di variazioni apportate durante l’esecuzione stessa e mai comunicate/autorizzate. Per queste situazioni, purché rientrino nel perimetro delle sole “parziali difformità”, viene in soccorso l’art. 34-ter, che prevede la presentazione di una SCIA speciale al fine di regolarizzare anche interi edifici, fatta salva l’opposizione sempre possibile delle amministrazioni competenti.
Il punto più innovativo riguarda tuttavia quanto contenuto nel medesimo articolo, al comma 4, che prevede questa volta in senso generale che le parziali difformità accertate a seguito di ispezione dei competenti funzionari in occasione dei sopralluoghi funzionali al rilascio delle certificazioni di abitabilità, sono considerate alla stregua delle tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis: è del tutto evidente l’intento di prevedere una sanatoria automatica.
Definizioni uniformi e concetti di “parziali difformità” e “variazioni essenziali”
Per comprendere tuttavia la portata di tali nuovi assunti, occorre precisare i concetti di “parziale difformità” e di “variazione essenziale” rispetto al progetto depositato, confermando ancora una volta che la sanatoria è applicabile esclusivamente ad interventi precedentemente autorizzati o legittimati:
per “parziale difformità” sono intese differenze che incidono solo su elementi particolari e non essenziali della costruzione, che non snaturano cioè i caratteri tipologici sostanziali del progetto ovvero che determinano variazioni atte a superare contingenze di carattere tecnico-funzionale comunque contemplabili nel titolo e che non richiederebbero pertanto il rilascio di una nuova autorizzazione; sono invece “variazioni essenziali” con riferimento tanto all’art. 32 quanto alle norme regionali, differenze quantitative e qualitative rispetto ai parametri di progetto tali da comportare cambi di destinazione d’uso rilevanti, aumenti di superficie/cubatura oltre le tolleranze, diversa ubicazione dell’area di sedime, scostamenti rilevanti di sagoma ecc.
L’allargamento della maglia delle tolleranze
Vale la pena infine affrontare proprio il tema delle tolleranze e dell’emendato concetto di legittimità urbanistica che si uniforma al principio conservativo di legittimo affidamento.
Da una parte vengono rimodulate a scaglioni le tolleranze entro cui, il discostamento dai parametri della singola unità immobiliare rispetto al progetto, non possono considerarsi irregolarità (superfici ed altezze), allargando le maglie al 6% per i piccoli immobili (fino a 60mq di superficie utile) ed introducendo per la prima volta in maniera esplicita l’applicabilità dello scostamento contenuto nel 2% anche ai parametri igienico-sanitari ed alle distanze legali.
A causa della legislazione concorrente, le regioni adottano criteri anche più restrittivi, in applicazione alle definizioni ed ai principi generali forniti dal decreto, potendo portare anche a dei veri e propri paradossi: né è un esempio, nel Lazio, del contrasto con la norma sulle violazioni edilizie (Legge 15/2008). Pensando al caso estremo di un edificio unifamiliare che astrattamente potrebbe rientrare nei margini delle tolleranze della singola unità immobiliare, ma che tuttavia sconfinerebbe il perimetro delle variazioni essenziali dell’edificio medesimo, producendo gli effetti di una non uniforme applicabilità della legge.
Riflessioni sulle contraddizioni e reale applicabilità della norma
E’ del tutto evidente come la Legge sul “Salva-Casa” abbia apportato più contraddizioni che reali risvolti pratici, soprattutto in termini di semplificazione e di applicazione immediata:
– pensiamo alla mancanza di definizioni uniformi per i termini di “parziale difformità” e “variazione essenziale”, che potrebbe portare a interpretazioni contrastanti;
– pensiamo ai termini ridotti a 45 giorni per i permessi in sanatoria che anziché alleggerire la Pubblica Amministrazione, non faranno altro che ingolfare ulteriormente la macchina già di per sé farraginosa o peggio creare precedenti contraddittori con la formazione del silenzio-assenso su pratiche che risulteranno incomplete o addirittura errate;
– pensiamo al fatto che il solo l’allargamento del perimetro della deroga alle distanze legali per la tanto decantata trasformazione della “soffitta”, non risolverà granché delle problematiche intrinseche considerando peraltro che il “recupero dei sottotetti” è una possibilità già esistente in norme reginali specifiche (nel lazio almeno dal 2009) e che rimarranno assoggettate al regime ordinario;
– pensiamo al fatto che né le verande né tantomeno i box e cantine trasformati in locali abitabili potranno essere sanati in quanto sono sottratte al regime del cambio di destinazione d’uso “semplificato” (anzi sono già all’interno della categoria residenziale come locali accessori) poiché rappresentano sempre e comunque ampliamenti volumetrici, impossibili da realizzare a causa dell’assenza di cubatura residua (o difficilmente reperibile anche con la conformità alle norme urbanistiche del momento);
– ricordo che le “parziali difformità” e le “variazioni essenziali” presuppongono esclusivamente interventi eseguiti in corso d’opera rispetto ad una autorizzazione rilasciata ed efficace all’epoca e che comunque non sono tali da determinare un organismo edilizio troppo diverso da quello di progetto;
– pensiamo all’equiparazione formale delle fiscalizzazioni di cui all’art. 34 (ovvero interventi in parziale difformità per il quale in luogo della demolizione in quanto pregiudizievole per le parti legittime, è irrogata una sanzione pecuniaria) alle sanatorie ordinarie, che creerebbe un principio di disparità senza precedenti;
– pensiamo in ultimo ma non meno importante al vuoto lasciato rispetto gli interventi in zone a bassa sismicità, ove pur dovendosi considerare “minori”, per residualità sono soggette al regime più restrittivo e praticamente impraticabile della “valutazione di sicurezza” al momento della presentazione dell’istanza e non all’epoca dell’abuso come per le zone a media ed alta sismicità.
Le recenti “Linee Guida” gettano più ombre che soluzioni interpretative, già a partire dalla stessa precisazione di non costituire “fonte di diritto” e pertanto risultare un mero indirizzo (peraltro con dei passaggi errati anche su presupposti meramente logico-concettuali), in quanto non chiariscono aspetti controversi e sui quali non vi è ancora una visione uniforme.
Sarebbe auspicabile una riforma generale del Testo unico dell’Edilizia e dunque una riscrittura completa dei criteri e parametri inerenti la regolarizzazione degli immobili esistenti affetti da abusi o difformità.
note
⇡1 | Legge 105/2024 del 24 Luglio 2024 di conversione del decreto-legge 69/2024 |
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